Ambasciatrici

Le Ambasciatrici

Le ambasciatrici del CedaP e Lo Spazio Lilla sono pazienti o ex pazienti che hanno raggiunto nel corso del loro percorso di riabilitazione consapevolezze tali da poter aiutare chi è ancora fa difficoltà ad averle e promuovere informazioni corrette sui Disturbi Del Comportamento Alimentare.

La proclamazione delle ambasciatrici avviene a cadenza
annuale attraverso una cerimonia in cui viene ripercorsa la storia della paziente.

Ambasciatrice Giulia D.

Questa è la storia di Giulia D.B, una ragazza che credeva che per stare nel mondo, bisognava essere un 10. Giulia arriva da noi che frequenta il liceo. Uno scricciolo pronto e determinato a venir fuori dalla sua malattia. Giulia parlava della sua voglia di riprendersi la spensieratezza che il DCA le aveva tolto, Giulia voleva tornare ad essere come tutti gli altri, privi di uno schema dietetico da seguire. Giulia non parlava mai dei suoi timori, non parlava mai delle sensazioni paurose di un corpo che lentamente riprende forma. Come stai Giulia? Le domandavamo. Tutto bene, rispondeva lei. Rispondeva tutto bene a testa bassa, mangiucchiandosi le pellicine delle mani. Non andava tutti bene, lo sapevamo, lo vedevamo. Ma Giulia non riusciva a parlarne, Giulia non riusciva a cacciar fuori il terrore di perdere qualcosa che per lei era diventato un salvagente. Nel 10 Giulia è stata intrappolata anche nella risalita. Risalita perfetta. Pochi mesi, poche resistenze. Soprattutto poche emozioni. Sapevano che in quella risalita perfetta il mondo interno di Giulia urlava e strideva di terrore, ed avremmo voluto fermarla, dirle “Ehi, guardaci, fa tanta paura, lo sappiamo, siamo qui per aiutarti” ma Giulia non era pronta e dovevamo rispettare i suoi momenti. Quella di Giulia è la storia di una ragazza a cui un giorno prospetto la fine del percorso. Non credevo che il suo “va tutto bene” era realmente un tutto bene, ma nel nostro lavoro abbiamo si, obiettivi e progetti terapeutici ma poi è il paziente che decide fin dove arrivare. Non pensavo che Giulia reagisse, non pensavo che Giulia riuscisse a cacciar fuori. Invece Giulia piange, Giulia crolla, Giulia parla di dolore e sofferenza. “La mia risalita è stata troppo veloce” dice Giulia. Si Giulia, è vero, troppo veloce. La velocità nei DCA spesso è anche questa una trappola. Ci serve tempo per metabolizzare, impaurirsi, rassicurarsi, andare avanti. Per Giulia non era ammissibile essere meno degli altri, non era ammissibile non essere capace di fare qualcosa. Ma cosa significa poi realmente essere la prima? Quella di Giulia è la storia di una ragazza che ha imparato che essere un 10 è un concetto del tutto relativo. Giulia ha imparato che la paura, il dolore, a delusione, non tolgono valore, caso mai lo aggiungono. Giulia oggi quando parla nella stanza di terapia parla più lenta, abbassa le difese, si concede di sentire qualcosa che le si agita dentro e lo caccia fuori. Giulia oggi vive.

Ambasciatrice Alice

Quella di Alice è la storia di una ragazza che giunge da noi adolescente. Alice aveva lunghi capelli, occhioni nascosti dietro grandi occhiali da vista e tante parole da dire. Il problema è che le parole che Alice riusciva a dire erano solo parole razionali, parole mi viene da dire “da grandi”. Sapeva il giusto, sapeva quello che bisognava e non bisognava fare. Alice non era affatto nel paese delle meraviglie, era fin troppo dentro la realtà. La vita nell’ultimo periodo l’aveva messa davanti ad un problema si salute importante all’interno della famiglia, e questo faceva si che non riusciva a perdonarsi quel non mangiare, quell’aver creato paura e preoccupazioni i a casa. Il suo essersi ammalata di anoressia non aveva senso per Alice. Alice avrebbe voluto cancellare in pochi attimi quel fuori pista dato dalla sua malattia e far tornare a sorridere la sua famiglia che non poteva soffrire ancora ma che anzi, lei avrebbe dovuto proteggere e tutelare. Ed in un certo senso così è stato. Alice ha avuto una risalita veloce. Ha accettato senza troppa fatica la nutrizionista, i controlli sulla bilancia, la proibizione assoluta sullo sport. Ma davvero non faceva fatica? Gli occhioni di Alice tradivano la su sicurezza. Ascoltavamo Alice dopo aver saputo di essere aumentata di peso dire che era tutto apposto, che era felice. Ma Alice non era felice, Alice era spaventata. La tradivano i suoi occhioni che trattenevano le lacrime, il tono secco quasi a voler tagliar corto ogni emozione che avrebbe potuto traboccar fuori. Quella di Alice è la storia di una ragazza che voleva controllare tutto, anche la paura. Alice ha dovuto imparare che la perfezione non coincideva con il dovere, che la perfezione risiedeva anche nel lasciarsi andare. Il piacere di fare qualcosa per se stessi Alice ha dovuto imparare a concederselo e a ridefinirselo non come una colpa ma come un diritto. Ma forse, cosa più importante, è che Alice non è scivolata nel paese delle meraviglie. Il paese delle meraviglie forse non esiste nemmeno. Alice ha scoperto un un altro mondo però, si, questo si. Quello in cui le parole vengono dette e non soffocate dentro, in cui le emozioni trovano il loro spazio e lo specchio riflette solo un’immagine, non più un valore. Oggi Alice frequenta il gruppo di AA del CedaP, e questo è stato un passo importante per lei che temeva il giudizio delle altre, per lei che un giorno mi confidò di non voler partecipare ad un iniziativa con altre pazienti per il timore che corpi più emaciati l’avrebbero invogliata a tornare indietro. Oggi Alice vede un futuro davanti, ha dei sogni, ama la libertà. Quella libertà che fino a poco fa non sapeva concedersi. E nel gruppo spesso dice che sta bene. Ed io la guardo, la ascolto, e finalmente so è vero.

Ambasciatrice Aurora

Quella di Aurora è la storia di una ragazza che viveva senza far troppo rumore. Ed è così che arriva al CedaP, quasi in punta di piedi con i suoi pochi chili ed un sorriso quasi a mascherare la sofferenza che si portava dentro. Aurora ha una dieta da seguire per uscire fuori da una soglia critica di peso, Aurora non può più pattinare, lei che il pattinaggio è la sua passione. Aurora non si oppone, non dice nulla, non sembra cacciar fuori la rabbia di chi si vede privata di un salvagente nel bel mezzo di un oceano. Seduta sul divano del CedaP rimane impassibile, composta, addirittura sorridente. Eppure noi lo sappiamo. Aurora trattiene, Aurora vorrebbe piangere disperata, Aurora ha tanta paura. Una paura che le rimane soffocata dentro, che la lacera ma a cui non gli permette di uscire. Quella di Aurora è la storia di una ragazza con una convinzione ben precisa: per avere un valore, deve essere più silenziosa possibile. Aurora silenzia tutto, anche se stessa, come se un minimo bisbiglio proveniente da lei potesse creare disturbo e deludere chi la circonda. Ma come si fa a vivere senza far rumore? Come si fa ad azzittire ogni bisogno ed emozione? il suo corpo diventa il messaggero segreto di parole che non riescono ad essere pronunciate, di bisogni inespressi, di emozioni intraducibili. Aurora non vuole morire. Aurora vuole vivere. Solo che lo fa a suo modo, solo che lo fa aggrappata a calorie e specchi per il terrore di perdere tutto, anche se stessa. Quella di Aurora è la storia di una ragazza che ha da imparare a parlare, a comunicare i suoi bisogni, ad esserci. Esserci con tutta se stessa, con la sua sfumatura che sa di bianco candido ma anche con quelle più accese. Oggi Aurora è tornata sui suoi pattini. L’altro giorno l’ho incontrata al CedaP e mi ha detto che la sera avrebbe avuto il saggio. Era sorridente, come sempre. Abbiamo parlato di mare, di vacanze in Puglia. La ascoltavo e dentro di me pensavo che la storia di aurora è la storia di una ragazza che viveva senza far troppo rumore. Ed oggi sta diventando la storia di una ragazza il cui rumore non è solo un suono stridulo e fastidioso, ma suono di vita.

Ambasciatrice Giada

Quella di Giada è la storia di una ragazza che si era persa. Persa in un luogo che non aveva mai visto prima, che non le piaceva, che la spaventava. Giada era un adolescente da una vita normale. Scuola, passione per la matematica, amici, nuoto, primi amori. Tutto scorreva perfetto nella vita di Giada quando piu’ o meno improvvisamente qualcosa si rompe ed il cibo inizia ad essere un nemico feroce e tentatore che la trascina in un posto lontano dal suo. Giada non si riconosce piu’ nel suo corpo, Giada non sa piu’ chi è. Si chiude, si vergogna di se, non crede piu’ in se stessa, non crede piu’ a nulla. Arriva da noi disillusa e convinta di dover convivere a vita con il dca. Lei che avrebbe fatto carte false pur di levarselo di dosso. Ma levartelo di dosso un DCA non puoi se prima non capisci cosa vuole da te. Quella di Giada è la storia di una ragazza che ha dovuto imparare a fermarsi, ad ascoltarsi, a dare un nome al suo vuoto. Bisogno di affetto, quando lo riconosce le si lucidano gli occhi. Quella di giada é la storia della rabbia che copre le emozioni più fragili, che difende dalla paura, dal sentirsi vulnerabili, è la storie da parole che si devono riformulare per raccontare di paure, mancanze, bisogni. Giada inizia a farlo nella stanza di terapia, poi fuori. E parola dopo parola, lacrima dopo lacrima, la fortezza crolla e Giada inizia a ritrovarsi. Giada ha terminato il suo percorso al CedaP, ma ogni tanto ci facciamo una chiacchierata. L’ho vista qualche giorno fa, abbiamo parlato. Oggi Giada parla più lentamente, e questo significa che non ha bisogno di difendersi da se stessa. Giada oggi si commuove quando ripensa a quando è iniziato tutto quanto ed alla sua sofferenza di giornate spaesate e soffocate. Mi dice che non pensava di riuscire a venirne fuori, mi dice che per l prima volta dopo anni, si è messa in costume da bagno. Le chiedo cosa gliel’ha permesso, mi risponde che ora si accetta. La ascolto, la osservo, mi arriva tutta la forza della sua voglia di vivere. Quella di Giada è la storia di una ragazza che voleva vivere. Ed ha combattuto ferocemente per ritornare nel mondo reale.

Ambasciatrice Valentina

Questa è la storia di Valentina. Valentina non è un adolescente, ma è una giovanne donna che nella vita fa l’insegnante. La prima volta che conosco Valentina noto subito la sua capacita’ di parlare, spiegare, sorridere. Ma anche la sua incapacita’ di crollare. Me ne rendo conto perchè in mezzo a tante parole Valentina scoppia a piangere. E’ una reazione normale piangere, questo io lo so. Ma lei non lo Sa e quasi si scusa di quel pianto, quasi si meraviglia di quell’emozione uscita fuori senza preavviso. Quella di Valentina è la storia di una ragazza che per tanti anni si è accollata addosso il peso di tutto, come se limiti non ce ne fossero, come se lei potesse sostenere tutto. E viene da se che crollare non puo’ permetterselo, tutto il castello di carta verrebbe giu’ dietro di lei. Quella di valentina è la storia di una ragazza che ve in autonomia. Lei non chiede, lei da. Sostegno, fiducia, appoggio. Me ne rendo conto anche nel gruppo di auto aiuto in cui le viene facile da aiutare e meno da raccontare il suo dolore. Eppure Valentina dentro di se sente, eppure valentina la sofferenza la conosce. Quella di Valentina è la storia di una ragazza che ad un certo punto della sua vita si chiude. Via tutto, persone, relazioni, dolore. Lei aperta alla vita non voleva piu’ sentirla scorrere nelle sue vene. Valentina deve imparare a rifidarsi dell’altro, a conoscere le sue parti piu’ fragili, a dargli spazio, voce, a ricamminare verso una direzione in cui lei è al centro. La storia di Valentina è la storia di una ragazza che ama la pratica. Valentina ha bisogno di fare, di monitare, di una guida che le spieghi cosa fare. Lei che era sempre stata guida per qualcun’altro. La osserviamo mettersi in gioco, aggrappars a i contenuti della DBT, commuoversi in un gruppo di autoaiuto quando il aparw di una ragazza le apre una sua ferita. Valentina inzia a sentire il Bisogno di riniziare. Riniziare da dove era fuggita, dove non voleva più tornare. con la sua razionalità.

Ambasciatrice Chiara P.

Quella di Chiara è la storia di una piccola grande donna. Chiara arriva al CedaP un po di anni fa. Chiara è cresciuta in fretta. Non sempre la vita va come vorremmo o come è giusto che sia, a volte le cose si complicano e la colpa non è di nessuno, semplicemente va così. Quella di Chiara è la storia di una bambina che si prende cura di una madre troppo fragile per badare a se stessa, che ne diventa complice anche quando la complicità si ritorce contro, che impara che l’unico modo per avere attenzioni è ammalarsi così che ad un certo punto della sua vita la malattia diventa l’anoressia. L’anoressia che ribalta i ruoli, che permette di diventare piccola, talmente piccola che c’è bisogno di chi accudisce. Quella di Chiara è la storia di un padre lontano che corre a riprendersi sua figlia, che la porta a vivere con lui a Pescara, che decide che Chiara va tutelata ed aiutata. Il percorso di Chiara è un percorso fatto di alti e bassi. Chiara che vuole essere spensierata, Chiara che vuole la leggerezza. Ma anche Chiara che senza malattia si sente persa, che senza malattia crede che nessuno si accorgerà di lei. La storia di Chiara è la storia della paura di vivere. Chiara che teme di non saper stare nel mondo, che chiede di continuo conferme, che si aggrappa di continuo a qualcun’altro per sentirsi più sicura. E se qualcun’altro non c’è, se la prova da affrontare significa vivere, Chiara si ferma, si chiude, si riammala. Quella di Chiara è la storia della lotta tra vita e malattia, star bene e stare male. Chiara riesce a diplomarsi, Chiara inizia a lavorare. La osserviamo fare la maturità, inviare curriculum, iniziare a lavorare. Chiara che fa vincere la vita, Chiara che stare ferma nel letto è rassicurante ma non più l’unica possibilità, Chiara che le si attiva il DCA ma lo riesce a riconoscere e fugge via da calcoli di calorie e camminate interminabili perché non è il cibo il nemico ma la paura di vivere. Chiara oggi considera la possibilità che accanto alla malattia esistono anche le parole per comunicare all’altro, per esprimere i propri bisogni, per chiedere aiuto. Ci sono giorni in cui Chiara mi invia tanti messaggi. Lo fa anche se sa che io non le risponderò perché andrei dietro al suo disturbo. Sono i giorni in cui la paura è più forte e Chiara ha bisogno di sentire che dall’altra parte, qualcuno la ascolta. La lascio fare, so che se aspetto che la crisi passa. poi Chiara mette insieme i pezzi e va avanti. Chiara qualche giorno fa mi ha scritto un sms. Mi ha invitato delle foto per la giornata di oggi, foto in cui la malattia era forte. Scrive che soffre tanto a vederle. Dopo un po aggiunge che non è un giorno facile per come si vive il corpo. Ma poi aggiunge ancora un pezzo, il più importante. “non riesco a vivermi la famiglia, non riesco a vivermi la vita, sto perdendo la battaglia”. Chiara che va oltre il linguaggio del disturbo alimentare, Chiara individua la vera paura. Ed io capisco che si continua verso la vita

Ambasciatrice Susanna

Quella di Chiara è la storia di una piccola grande donna. Chiara arriva al CedaP un po di anni fa. Chiara è cresciuta in fretta. Non sempre la vita va come vorremmo o come è giusto che sia, a volte le cose si complicano e la colpa non è di nessuno, semplicemente va così. Quella di Chiara è la storia di una bambina che si prende cura di una madre troppo fragile. Quella di Susanna è la storia di una ragazza che voleva essere una roccia. Un qualcosa di molto forte, duro come acciaio, impenetrabile. Lo voleva essere perché pensava che così avrebbe affrontato meglio il mondo, così avrebbe provato meno dolore. Quella di Susanna è la storia di una ragazza a cui piace il cervello, la mente, i discorsi razionali. Ma è anche la storia di una ragazza che scorda il corpo, lo annulla rendendolo talmente tanto da non poter essere più un corpo. Susanna ingoia cibo. Ma in realtà non è il cibo che ingoia. Ingoia paure, fragilità, piaceri negati, la fatica di una vita impostata sul dovere. E mentre accade tutto questo, rincorre trenta e lode all’università, indossa maschere con stampati su sorrisi, mette distanza tra se e gli altri quando il dolore risale su fin la gola e ne assapora il gusto amaro. Quella di Susanna è la storia di una ragazza abile nell’ingannare tutti. “Susanna mi fa paura” spesso dicevano le ragazze del gruppo di aiuto aiuto. Susanna voleva far paura si. Per evitare di farsi scoprire fragile, per fuggire via da emozioni dolorose, per non crollare in un pianto disperato. Ma Susanna cercava solo qualcuno più abile di lei nello sgamarla, qualcuno che non cadesse in quella trappola e le desse la possibilità di scoprirsi. Come spesso accade, nessuno ci salva, siamo noi a doverlo fare. Susanna soffre, Susanna non vuole più ingannare nessuno, Susanna vuole crollare, Susanna vuole riposare. Quella dei Susanna è la storia di una ragazza che ad un certo punto, è scesa da una giostra che continuava a girare sempre nella stessa direzione non portandola mai da nessuna parte. Susanna che si ferma, Susanna che va in comunità, Susanna che scopre il suo corpo allo specchio e su una bilancia. Quella di Susanna è la storia di una ragazza che ha il coraggio di salvarsi da sola. Un giorno come tanti vado in studio e me la ritrovo in sala d’attesa. Erano mesi che non la vedevo a causa del suo percorso in comunità. E’ sorridente, rilassata. Le do un appuntamento per raccontarmi come sta. Ci rivediamo dopo una settimana, parliamo, facciamo il punto della situazione. A fine colloquio Susanna mi abbraccia, mi abbraccia e non lo aveva mai fatto prima. Questa è la storia di Susanna il cui abbraccio, quel giorno, racconta che il cervello ha imparato anche a fare posto al cuore. Per badare a se stessa, che ne diventa complice anche quando la complicità si ritorce contro, che impara che l’unico modo per avere attenzioni è ammalarsi così che ad un certo punto della sua vita la malattia diventa l’anoressia. L’anoressia che ribalta i ruoli, che permette di diventare piccola, talmente piccola che c’è bisogno di chi accudisce. Quella di Chiara è la storia di un padre lontano che corre a riprendersi sua figlia, che la porta a vivere con lui a Pescara, che decide che Chiara va tutelata ed aiutata. Il percorso di Chiara è un percorso fatto di alti e bassi. Chiara che vuole essere spensierata, Chiara che vuole la leggerezza. Ma anche Chiara che senza malattia si sente persa, che senza malattia crede che nessuno si accorgerà di lei. La storia di Chiara è la storia della paura di vivere. Chiara che teme di non saper stare nel mondo, che chiede di continuo conferme, che si aggrappa di continuo a qualcun’altro per sentirsi più sicura. E se qualcun’altro non c’è, se la prova da affrontare significa vivere, Chiara si ferma, si chiude, si riammala. Quella di Chiara è la storia della lotta tra vita e malattia, star bene e stare male. Chiara riesce a diplomarsi, Chiara inizia a lavorare. La osserviamo fare la maturità, inviare curriculum, iniziare a lavorare. Chiara che fa vincere la vita, Chiara che stare ferma nel letto è rassicurante ma non più l’unica possibilità, Chiara che le si attiva il DCA ma lo riesce a riconoscere e fugge via da calcoli di calorie e camminate interminabili perché non è il cibo il nemico ma la paura di vivere. Chiara oggi considera la possibilità che accanto alla malattia esistono anche le parole per comunicare all’altro, per esprimere i propri bisogni, per chiedere aiuto. Ci sono giorni in cui Chiara mi invia tanti messaggi. Lo fa anche se sa che io non le risponderò perché andrei dietro al suo disturbo. Sono i giorni in cui la paura è più forte e Chiara ha bisogno di sentire che dall’altra parte, qualcuno la ascolta. La lascio fare, so che se aspetto che la crisi passa. poi Chiara mette insieme i pezzi e va avanti. Chiara qualche giorno fa mi ha scritto un sms. Mi ha invitato delle foto per la giornata di oggi, foto in cui la malattia era forte. Scrive che soffre tanto a vederle. Dopo un po aggiunge che non è un giorno facile per come si vive il corpo. Ma poi aggiunge ancora un pezzo, il più importante. “non riesco a vivermi la famiglia, non riesco a vivermi la vita, sto perdendo la battaglia”. Chiara che va oltre il linguaggio del disturbo alimentare, Chiara individua la vera paura. Ed io capisco che si continua verso la vita

Ambasciatrice Arianna

Quella di Arianna è la storia di una ragazza che non sentiva nulla. La conosco che frequentava ancora li liceo, arriva allo sportello di ascolto della scuola ingabbiata nel suo disturbo alimentare. Dice poche parole, quelle che dice sono descrizioni di fatti senza la minima sfumatura emotiva. Quando parlo Arianna mi ascolta, mi guarda, a tratti sembra perdersi con lo sguardo. E nel suo silenzio mi arriva tutta la sofferenza di una ragazza che non riesce a stare in un mondo dai rumori troppo forti. Dopo qualche tempo, Arianna arriva al CedaP. Continua a dire poche cose, a non far sentire nulla che provenga dal suo interno. Arianna ha un volto che non esprime nulla, e mi rendo conto che tutte le sue emozioni sono affidate al corpo. Un corpo emaciato, a volte talmente tanto da aver bisogno di cure ospedaliere. Quella di Arianna è la storia di una ragazza dalla convinzione di essere talmente incapace, da dover rinunciare a se stessa. Arianna affida all’anoressia il suo stare nel mondo, Arianna affida all’anoressia il suo valore. Colloquio dopo colloquio, Arianna impara a parlare come una bimba che inizia a dire le sue prime parole, la osservo infilare nella sua storia di vita emozioni da sempre sconosciute, la ascolto mentre inizia a raccontarmi di lei. Per Arianna l’anoressia è l’unica certezza, non vede altra possibilità. La pensa così per molto tempo, ma poi accade qualcosa, qualcosa per cui inizia a guardarsi intorno e rendersi conto che mentre gli altri vanno avanti, lei rimane ferma. Arianna che vorrebbe recuperare, arianna che ci prova ma non ciao riesce, Arianna che si scoraggia, Arianna che torna sulla abilancia, Arianna che ritorna sulla retta via e prova a rincominciare. La storia di Arianna è una storia in divenire. Quando le ho detto che sarebbe stata anche lei nominata, si è stupita. Lei con il cibo ci litiga ancora, il suo corpo lo osserva ancora con sospetto. Ma non è importante dove è arrivata, è importante dove sta andando ora. Qualche tempo mi avrebbe parlato di ospedali, di pesi morte, di rimanersene sospesa in una realtà malata mentre il mondo va avanti. Oggi Arianna parla di progetti, oggi Arianna pensa ad un futuro, oggi Arianna andrebbe in comunità per “aggiustare” il suo rapporto con il cibo, cosa che per anni è stata impensabile. Questa è la storia di una ragazza che non sentiva nulla. E quando ha iniziata sentire, temeva che quel sentire fosse un impazzire. Oggi Arianna almeno sa Che quel sentire si chiama vita.

Ambasciatrice Carla

Quella di Carla è la storia di una ragazza che credeva di non essere normale. Tanta sofferenza, per tanti anni. Nella testa di Carla si crea l’idea che forse la malattia è un qualcosa che le appartiene, che la rende diversa dagli altri, distante. Carla arriva al CedaP che non mangia più. Nei primi colloqui Carla ci guarda con sospetto, non si fida. Carla ha imparato che l’altro può farle del male ed approfittare delle sue fragilità. Quella di Carla è la storia di una bambina che vedeva e capiva troppo. La sensibilità è una qualità, ma quando si hanno solo pochi anni, può diventare un arma puntata contro se stessi. Carla quando la conosciamo suona il pianoforte e frequenta il liceo. Ogni volta che deve affrontare una prova, restringe l’alimentazione. Così mi sento più forte, dice. Carla dietro un’apparenza composta e corretta, ha un mondo interno caotico di emozioni che trattiene, che prova a tollerare di continuo, fino a che esplodono e fanno un gran rumore di cui lei stessa si spaventa. Quella di Carla è la storia di una ragazza dagli occhioni dolci che ti guardano chiedendo affetto, amore, calore, è la storia di una ragazza che pensa che per avere un valore deve essere la prima se non la sola, che si è convinta che se l’altro per qualche momento la perde di vista, lei lo ha perso per sempre. La storia di Carla è la storia di una sofferenza che spiazza, destabilizza, colpisce tutti, in primis lei stessa. Ma è anche la storia di chi nella sofferenza non ci vuole stare e fa di tutto pur di conquistare la normalità. Che cos’è la normalità poi, è un concetto del tutto relativo, e spesso normale coincide semplicemente con l’essere se stessi, far spazio alle propria indole a natura. Carla sta imparando a normalizzare. Pensieri, emozioni, se stessa. Quella di Carla è la storia di chi normale lo è già e deve imparare a crederci, ad averne fiducia. Quella di Carla è la storia del controllo che lascia il posto al lasciarsi andare, al lasciarsi andare che non è fuori controllo ma libertà. Di esprimersi, di emozionarsi, di sbagliare, di tollerare, di essere quella che è. Quando osservo Carla oggi, quando la ascolto, quando la vedo arrivare al CedaP di corsa dopo aver fatto un’esame all’università, mi si spalanca davanti davanti tutto il suo coraggio. Carla che lotta per essere spensierata, Carla che lotta per non cadere nelle sue trappoli mentali, Carla che lotta contro le emozioni ed alla fine si arrende a loro. Quella di Carla è la storia di una ragazza che vince ogni giorno di più.

Ambasciatrice Giulia D.F.

Quella di Giulia è la storia di una principessa che aveva perso la sua corona e si era convinta di essere nessuno. Ma non nessuno nel senso nessuno di importante. Nessuno Nessuno, niente di niente. Conosco giulia diversi anni fa, in quel periodo era un uccellino spaurito ed indifeso che si guardava intorno con sospetto. Giulia non mangia più, passa giornate a contare calorie e a camminare nel giardino di casa. Giulia che cammina, Giulia che conta i passi, Giulia che ha paura che il suo cibo venga contaminato, Giulia che si nutre solo di carote da diventar color carota. Eppure Giulia non è impazzita, ne tanto meno vuole morire. Il problema di Giulia è che si sente incapace di stare nel mondo, il problema di Giulia è che teme una solitudine che la inghiottirebbe in pochi istanti. Così Giulia affida al corpo tutta la sua paura, e lo rendo piccolo piccolo così che vivere davvero non è possibile, così che sua madre se ne deve prendere cura. Ma la storia di Giulia non è solo questa. La storia di Giulia è anche la storia della voglia di vivere che vince su tutto. Giulia riinizia a rialimentarsi, a riassaporare cibi, a guardarsi allo specchio con occhi diversi. Ma non è questo che rende la sua storia una storia interessante. La storia di Giulia è una bella storia perché è aggrappata stretta alla vita. A Giulia non bastavano mai i passi avanti fatti. Giulia voleva sempre di più, voleva sempre più vita. Quando fermarsi, lo decide sempre il paziente, mai noi. Giulia è voluta arrivare alto, tanto alto, alto dove l’IO VOGLiIO è un qualcosa da dire e non da temere, dove si è liberi di volare in uno spazio infinito, dove la corona da principessa ci se la può mettere ogni mattina, da sole, senza il consenso di nessuno. Giulia oggi ha una specie di rito. Ogni giorno ha bisogno di fare qualcosa per se, di premiarsi dopo anni ed anni che ha tormentato se stessa . Giulia oggi vola, vola lato ed è bellissimo osservala da qui giù.